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ispirare nella gente.
Probabilmente non ebbe alcun problema quando il Consiglio
Comunale, nel 1804, gli ingiunse di disinfettare la casa con
canfora, zolfo e catrame in seguito alla misteriosa morte di
quattro persone, che sembrava fosse dovuta a febbri epidemiche
nonostante in quell'epoca fossero già scomparse. Si pensava che
nella casa aleggiasse il fetore caratteristico di tali febbri.
Anche Dutee non si occupò molto della proprietà, dal mo-
mento che era stato cresciuto come un marinaio ed aveva ser-
vito con onore il capitano Cahoone, a bordo del Vigilant, nella
guerra del '12. Una volta tornato a casa, nel 1814 prese moglie,
ed ella gli diede un figlio in quella storica notte del 23 settembre
1815, in cui un terribile uragano sommerse più di mezza città,
sollevando onde talmente alte su Westminster Street, da inon-
dare tutte le finestre della casa degli Harris, in una specie di
battesimo del mare per il neonato Welcome, figlio d'un marinaio.
Welcome non sopravvisse al padre, ma morì con onore nella
battaglia di Fredericksburgh del 1862. Sia lui che il figlio
Archer, riguardo alla proprietà di famiglia abbandonata, sapevano
soltanto che non si trovavano affittuari.., forse per via dell'umi-
dità e dell'aria stagnante dovute a tutti quegli anni di abbandono.
Ed infatti, dopo i decessi avvenuti al suo interno nel 1861, e
passati inosservati per il fermento della guerra, la casa non ebbe
più inquilini. Carrington, l'ultimo degli Harris, era a conoscenza
del fatto che era deserta, e che intorno vi erano state costruite
diverse leggende ma, finché io non gli raccontai la mia esperienza,
non sapeva altro. Era stata sua intenzione demolirla e costruirvi
vicino una nuova palazzina: dopo aver sentito la mia storia, però,
decise di lasciarla in piedi, cambiare le tubature, ed affittarla.
In quegli anni gli orrori erano stati dimenticati, e non ha mai
avuto difficoltà a trovare inquilini.
3.
Non ci vuole molto ad intuire quanto rimanessi impressio-
nato dalle vicende degli Harris. Sembrava che dietro quegli
avvenimenti si celasse una forza malefica soprannaturale; una malvagità,
ovviamente, intrinseca alla casa, e non ricollegabile alla famiglia.
Questa mia sensazione, veniva confermata dalle vaghe notizie
raccolte da mio zio nel corso degli anni tramite chiacchiere di
domestici, ritagli di giornale e le copie di alcuni certificati di
morte ottenuti da altri suoi colleghi: tutte queste informazioni
risultavano in qualche modo collegate.
Non pretendo che suddetto materiale sia ritenuto una prova
attendibile solo perché mio zio amava il passato ed aveva
sempre messo la casa al centro del suo interesse; tuttavia posso
mettere in rilievo dei particolari frequentemente ricorrenti in
numerose e disparate testimonianze.
I domestici, ad esempio, ponevano al centro delle loro chiac-
chiere gli influssi malefici, le muffe e la fetida cantina della casa.
Alcuni servitori - specie Ann White - si erano rifiutati di utilizzare
la cucina nel seminterrato, e c'erano per lo meno tre leggende molto
particolareggiate che parlavano delle forme demoniache e semiumane
assunte dalle radici degli alberi, e delle strane fungosità biancastre
che si sviluppavano intorno alla cantina.
Questi ultimi particolari mi interessavano in special modo,
dal momento che si riallacciavano a quello che avevo visto da
bambino, ma ero certo che il vero significato dell'intera vicenda
era stato deformato dalle superstizioni locali, le quali si basa-
vano essenzialmente su leggende di fantasmi.
Ann White, con la sua tradizione folkloristica di Exeter,
aveva messo in circolazione la storia più bizzarra ed al tempo
stesso più affascinante, sostenendo che sotto la casa era stato
sepolto con ogni probabilità un vampiro - uno di quei morti che
mantengono intatto il proprio corpo succhiando il sangue e il
respiro dei vivi - e che quello, di notte, vagava con la sua ombra
ed il suo spirito rapace.
L'unico modo per distruggere un vampiro era, a detta delle
nonne, riesumarlo dalla tomba e bruciargli il cuore, o almeno
trapassargli il petto con un paletto. L'insistenza continua di Ann
perché si facessero ricerche sotto la cantina, era stato il motivo
principale del suo licenziamento.
Ma i racconti della donna fecero presa su molta gente, poiché
offrivano una spiegazione più plausibile rispetto alle altre
storie, visto che la casa era stata costruita su un antico cimitero.
Non era tale circostanza, invece, a suscitare il mio interesse:
era il modo perfetto in cui essa combaciava con altri fatti. Con
le lamentele della cameriera precedente, ad esempio, Preserved
Smith, che non aveva mai potuto conoscere Ann: secondo lei,
qualcosa, di notte, veniva a "succhiarle il fiato"; con l'inspiegabile
anemia che aveva causato il decesso delle quattro vittime
delle febbri del 1804, anemia certificata dal dottor Chad Hopkins;
e con le misteriose parole, infine, della povera Rhoby
Harris, che farneticava nel delirio di un essere seminvisibile
dalle zanne affilate e dagli occhi spiritati.
Nonostante non creda alle superstizioni che non abbiano un
fondamento di verità scientifica, la conoscenza di questi parti-
colari mi mise addosso una sensazione sgradevole, che poi di-
venne più acuta quando lessi due ritagli di giornale, molto lon-
tani nel tempo, che parlavano dei decessi avvenuti nella casa
abbandonata. Uno era del Providence Gazette and Country-Journal
del giorno 12 aprile 1815, e l'altro del giornale Daily Transcript
and Chronicle, del giorno 27 ottobre 1845: in entrambi veniva
enfatizzato l'inesplicabile ripetersi di una circostanza orrifica
e molto macabra.
Nei due casi di morte che i giornali riportavano, sembrava
che entrambe le persone, poco prima di morire - nel 1815
un'anziana e mite signorina di nome Stratford, e nel 1845 un'insegnante
di mezz'età di nome Eleazar Durfee - avessero fatto una cosa ripugnante:
con gli occhi sbarrati tutte e due, avevano cercato di mordere al
collo il medico.
Fatto ancor più inspiegabile, però, erano diverse morti per
anemia, tutte precedute da un'improvvisa follia, nel raptus della
quale i malati avevano morso i familiari sul collo o ai polsi.
Morti in seguito alle quali nessuno aveva voluto più affittare
quella casa.
Sto parlando degli anni 1860-61, quando mio zio iniziava la
professione medica. Prima di partire per la guerra, egli aveva
sentito alcuni colleghi più anziani che discutevano della cosa.
Il particolare decisamente inspiegabile, era che le povere vittime -
persone ignoranti, visto che solo a quelle si riusciva ad affittare
la casa - avevano pronunciato delle bestemmie in francese, cosa
assurda per chi non l'aveva studiato. E lo stesso era accaduto
con la sventurata Roby Harris, cent'anni prima.
A mio zio era venuta la mania di raccogliere tutte quelle
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